«Serve una Chiesa che torni a scaldare i cuori»

  27/07/2013

Il cuore della Gmg

IL CUORE DELLA GMG

Ai cardinali e vescovi Francesco chede: «Bisogna tornare a imparare la semplicità». Appello per il ruolo delle donne, senza le quali «la Chiesa rischia la sterilità»

ANDREA TORNIELLI
RIO DE JANEIRO

Francesco parla alla Chiesa brasiliana ma quello che ha appena concluso durante il pranzo nell'arcivescovado di Rio de Janeiro, alla presenza dei cardinali e dei vescovi della regione, è molto di più. È un programma di pontificato, l'immagine di una Chiesa che per farsi missionaria si mette in cammino con la gente ed è capace di «decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli». E per far questo, la Chiesa deve smettere di essere fredda, autoreferenziale, troppo lontana dai bisogni delle persone, troppo prigioniera dei propri rigidi linguaggi. Deve tornare a imparare la semplicità, scaldare i cuori e «riscoprire le viscere materne della  misericordia».

Quello ai vescovi brasiliani è il discorso più pensato tra quelli finora pronunciati da Francesco in Brasile, una scossa che segna un passo in avanti nel cammino del pontificato e fa emergere come non era mai accaduto in modo così compiuto il messaggio del Papa venuto «dalla fine del mondo». Bergoglio parte descrivendo con commozione l'evento di Aparecida, la storia dei tre pescatori che nelle loro reti vuote di pesci si ritrovarono invece la piccola statua della Madonna nera spezzata in tre parti. Una vicenda nella quale «Dio ha dato una lezione su se stesso, sull'umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale». Un'umiltà che è «nel DNA di Dio».

Francesco nota come «forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore». La Chiesa deve fare spazio al «mistero di Dio» in modo che esso «possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre». Dalla lezione di Aparecida, aggiunge il Papa, si impara che «il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell'amore». Servono certo la tenacia, il lavoro, la programmazione e l'organizzazione, «ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio».

Un'altra lezione che la Chiesa non può mai dimenticare è la semplicità. La Chiesa «non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero… A volte perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile "pescare" Dio nelle acque profonde del suo Mistero».

Francesco ha ricordato la vicinanza dei Papi alla Chiesa brasiliana, la sua capacità di applicare «con originalità» il Concilio, «pur avendo superato certe malattie infantili». Un accenno alle degenerazioni di certe teologie, di quello che lo scorso giugno in un'omelia a Santa Marta Bergoglio aveva definito «progressismo adolescente». E ha quindi proposto «l'icona di Emmaus» come chiave di lettura del presente e del futuro. I due discepoli lasciavano infatti Gerusalemme, dopo aver visto il loro messia «irrimediabilmente sconfitto e umiliato». È il «mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa – la loro Gerusalemme – non possa offrire più qualcosa di significativo e di importante. E allora vanno per strada da soli, con la loro delusione».

Qui Francesco aggiunge elementi di giudizio sulla Chiesa stessa, che «forse è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica».

Che cosa fare allora? «Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione». Francesco aggiunge parole dure sugli effetti della globalizzazione, delle cui potenzialità «tanti si sono innamorati», senza tenere conto del suo «lato oscuro», quello che fa smarrire il senso della vita, disintegra le persone, fa perdere l'esperienza di appartenenza, frattura le famiglie e spinge verso droga, alcool, sesso.

L'atteggiamento giusto, di fronte a questa situazione, non può essere quello del lamento che, spiega il Papa «finisce per aumentare l'infelicità». Oggi non serve una Chiesa che si lamenta, ma una Chiesa «in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio».

Francesco rivolge a tutti questa domanda: «Siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore?». Nel mondo di oggi si rincorre ciò che è più veloce, e «tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di tenerezza». Serve una Chiesa che non sia «travolta dalla frenesia dell'efficienza», ma che sappia essere «lenta», per «ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre». Serve «una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti  suoi figli che camminano come in un esodo».

Alla Chiesa brasiliana il Papa chiede di curare la formazione di persone capaci di «toccare la disintegrazione altrui senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità». Invita i vescovi a costruire una «rete» che non assicuri l'unanimità, ma la vera unità nella ricchezza della diversità. «Serve – dice parlando della Conferenza episcopale – una valorizzazione crescente dell'elemento locale e regionale. Non è sufficiente la burocrazia centrale, ma bisogna far crescere la collegialità e la solidarietà». Parole destinate a varcare i confini del Brasile.

«Serve una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c'è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di "feriti" che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore». E qui il Papa afferma che è importante «rinforzare la famiglia, i giovani e le donne, «che hanno un ruolo fondamentale nel trasmettere la fede. «Non riduciamo l'impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale», perché «perdendo le donne la Chiesa rischia la sterilità».

Infine, Francesco ha parlato dell'Amazzonia e del lavoro fatto dalla Chiesa «che non è come chi ha le valigie in mano per partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto». Un richiamo «al rispetto e alla custodia dell'intera creazione che Dio ha affidato all'uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino».

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